sabato 26 febbraio 2011

Attenti al Lhupo ( quattro )

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Sgrassatori di Blog  - IV puntata -
      
                                                                        racconto in 4 puntate di Lhupo




Una salutare puzza fece arretrare la testa del rettile proprio nel momento in cui si accingeva ad inghiottire la testa del malcapitato Wolfet. Alcuni istanti dopo quell’orrenda figura si disintegrò nell’aria e l’oscurità ritornò assoluta. Accesi la torcia e mi avvicinai a lui.
-E’ tutto finito, come ti senti?
Non disse nulla. Vidi che gli tremavano le mani. Si asciugò un paio di lacrime con il dorso della mano. E quando recuperò in parte la calma, disse deciso.
-Andiamo.
Camminammo non so per quanto tempo nel silenzio più assoluto e senza altre malie. Ero preoccupato. Quel corridoio sembrava non finire mai e quando vidi una fessura di luce, a non meno di dieci metri, tirai un sospiro di sollievo
Sbucammo in una piccola stanza senza finestre. Tre lati erano di muratura, mentre quello davanti a noi era composto da grossi tendaggi in velluto rosso. Ed era da quella parte che proveniva la luce insieme a voci strane e canti melodiosi.
Sicuramente dietro quel sipario si trovava il centro del labirinto, ossia la stanza della Nostalgia dimora di G, la regina.
Mi avvicinai e scostai la tenda quel tanto che bastava per non far rilevare la nostra presenza. La prima sorpresa fu che la stanza era situata a circa cinque metri dal pavimento, come un palco in un teatro. La seconda fu lo spettacolo che giunse ai miei occhi: stupefacente.
Un salone circolare alto circa venti metri, con un diametro di eguale misura, aveva per copertura una semisfera di cristallo, che con il sole al tramonto lasciava intravedere un cielo rosso scarlatto. Delle colonne corinzie in marmo bianco sostenevano il tamburo della cupola. Ogni coppia di colonne delimitava una cappella barocca arredata con stoffe e sete dai colori tenui che comprendevano tutta la gamma dell’arcobaleno.
Grandi composizioni floreali si avvitavano sugli altari dove bracieri colmi d’essenze rilasciavano nell’aria spirali di profumi intensi e inebrianti. E lassù a qualche metro dall’occhio di cristallo ondeggiava qualcosa di bianco che non riuscii a ben identificare.
-Wolfet passami il binocolo. - dissi con una punta d’eccitazione nella voce.
-Eccolo.
Lo presi quasi strappandoglielo dalle mani, e dopo aver inquadrato quella cosa un incredibile mi scivolò dalla bocca.
Vidi due nuvolette di neuroni bianchi dal cui centro partivano dei filamenti intrecciati di sinapsi che sorreggevano un’amaca anch’essa di colore bianco. Adagiata c’era la regina.
Indossava una lunghissima veste di seta bianca e aveva una gamba nuda che pencolava sensualmente nel vuoto. A portata di braccio, davanti al suo viso, c’era un portatile d’argento satinato sorretto ai lati da due putti riccioluti e volanti. E ogni volta che la regina voleva digitare qualcosa ecco che gli angioletti, con eleganti evoluzioni, le porgevano la tastiera. Il tutto oscillava armoniosamente tra musica e profumi. Ma c’era qualcosa di strano che attrasse la mia attenzione. Dei puntini luccicanti come diamanti correvano come formiche impazzite lungo l’ordito dell’amaca.
Vidi così che il tessuto era fatto di versi e parole che s’intercambiavano veloci tra di loro in un gioco infinito. Alcuni lembi della veste della regina, filtrando tra le maglie dell’amaca, raccoglievano da quel via vai perle di saggezza. E queste estremità, man mano che si avvicinavano al pavimento, si trasformavano in candide mammelle ricche di nutrimento per i commentatori che si avventavano a succhiare con avidità. 
Ogni tanto la regina lanciava in punta di dita un bacio a Einaudi che, vestito come un musicista del settecento, suonava il suo pezzo preferito.
Dietro, a meno di un metro, c’era Paul Auster. Indossava un vestito da paggio stirato di fresco ed era impegnato a sistemare la parrucca di Ludovico e a girare le pagine dello spartito.
Spesso alzava uno sguardo concupiscente verso G.
Scoppiai in una risata. Mi sentivo diabolico e malefico come Mr. Hyde.
-Wolfet passami la borsa. - dissi.
Silenzio. Mi girai e non vidi nessuno.
-Dove cazzo sei?
-Signore abbassi la voce, sto svuotando la vescica, sarò da lei tra qualche secondo.
Comparve dopo alcuni istanti che stava ancora tirandosi su la cerniera dei pantaloni.
-Che sollievo signore non so se le è mai capitato di…
-Bando alle ciance. Prepara due Cock HC da trenta con glande ruotante rinforzato…
-Rinforzato…mi sembra troppo…
-Non voglio avere sorprese, la resistenza può essere forte, e in più spennella i glandi con feronomi potenziati al mandrillo. Io preparerò un paio di granate nebulizzanti al Siliceme ( una specie di gas composto di silicone e polvere di cemento) atti ad uccidere neuroni e sinapsi in un batter d’occhio. Tra poco qui suonerà un’altra musica.
L’attuazione del piano Sturm und Drang mi metteva di buon umore. Non era il momento di farsi soggiogare da quelle musiche, dai profumi, da quelle parole che si insinuavano nel profondo dei cuori rendendoli inattivi alla realtà. Non era forse giunto il momento di risvegliare quelle menti, perse nell’oblio, con pensieri diversi da quelli che la regina irraggiava dal suo sognante mondo. Spiegazioni? Questo non era sicuramente il momento di ricorrere a spiegazioni, o calcolare freddamente quali potrebbero essere i vantaggi o gli svantaggi che un’operazione simile potrebbe portare nella vita di quelle persone. Non è forse vero che la maggior parte della gente vive in un quotidiano di merda, senza speranza di cambiare la propria sorte? E queste persone non hanno la forza di cambiare la propria sorte perché non hanno la forza di liberarsi dentro. Ebbene questo è il mio compito, sparigliare le carte, infliggere dolore, far vedere spicchi di altre realtà che ora sono sommersi da una montagna di melassa.
-I cocks sono sulla rampa di lancio, signore. - disse Wolfet con il telecomando in mano.
-Bene. Procederemo in questo modo. Al tre tu lancerai il primo HC30 in direzione della regina. - poi guardandolo dissi. - Hai regolato bene il sensore di temperatura vaginale.
-Trentasette gradi e mezzo.
-Meglio diminuire di un grado, voglio andare sul sicuro.
Wolfet con un piccolo cacciavite regolò la temperatura.
-Fatto. - disse.
-Ora ascoltami bene: dopo che tu avrai lanciato il razzo io sgancerò la prima granata verso le nuvole neuroniche, mentre con la seconda cercherò di neutralizzare le mammelle. A quel punto tu lancerai il secondo razzo nel gruppo dei commentatori. Qualche domanda?
-No! Lei ha un’idea di quello che succederà?
Allargai le braccia.
-No! Non ho la minima idea di quello che succederà. Se le cose prenderanno una piega sbagliata ce ne andremo per dove siamo venuti. Sei pronto?
-Sì!
Mi avvicinai alla tenda, la aprii di quel tanto che bastava per piazzare la piccola rampa di lancio. Nella grande stanza tutto sembrava tranquillo. Nessuno si era accorto di noi. L’apocalisse poteva avere inizio.
Diedi il cinque a Wolfet, poi alzai la mano destra e al tre la abbassai. Wolfet premette il pulsante rosso e il primo cock partì lasciando una piccola scia di fumo bianco dietro di sé. Il big bird dopo una decina di metri virò a sinistra e come un’aquila sulla preda s’insinuò tra le gambe della regina. Dopo una frazione di secondo un rumore simile a quello che fa un grosso sasso quando colpisce una serranda squassò l’aria. E dopo qualche secondo l'HC30 ricomparve con il glande attorcigliato in un volo ubriaco che lo portava verso il basso.
La cosa che più temevo si era dunque avverata.
-Cerca di riprenderne il controllo. - gridai a Wolfet. Nella sala calò, come un eco che muore, il silenzio
Lanciai la prima granata. Scoppiò beatamente sopra le nuvolette. Le particelle di siliceme si avventarono su neuroni e sinapsi come mosche sul miele scatenando un’istantanea pioggia di scintille. Subito dopo le nuvolette si trasformarono in cenere che come neve cominciò a cadere. L’amaca privata dei supporti che la sorreggevano cominciò a precipitare come un palloncino a cui fosse stata aperta l’aria.
In una delle sue pazze evoluzioni passò vicino al palco e non potei non notare lo sguardo di fuoco che mi lanciò G prima di schiantarsi sui Madredeus che, interrati fino al petto, cantavano Ao longe o mar. Due commentatori si staccarono dalle mammelle e cominciarono a sparare con la bocca perle di saggezza. Schivai con destrezza fatti i cazzi tuoi mentre a li mortacci tua ferì leggermente all’orecchio Wolfet che non emise nessun lamento. Lanciai la seconda granata che centrò le mammelle in pieno. Parole e versi, bianchi come il latte, mutarono al colore ruggine nel giro di un secondo. Un fetore acido e penetrante cominciò ad impregnare l’aria, e una babele gracchiante risuonava tra le cappelle.
Wolfet lanciò il secondo HC30 che impallinò con successo tre o quattro commentatori, non so se uomini o donne, prima di essere distrutto. Adesso di sotto stava montando un casino colossale. Sciami di commenti s’incrociavano da tutte le parti e non si capiva chi sparava e a che cosa. L’aria era impregnata di un forte odore di cultura bruciata data dalla combustione delle parole e dalla grande quantità di commenti e note musicali sparate dai commentatori.
La regina, un po’intontita, era stata portata da un paio di coraggiosi dietro l’altare di un cappella.
-Adesso sarà molto difficile catturarla. - disse Wolfet accovacciato sotto il parapetto.
-Sono d’accordo e il rischio di lasciarci la pelle è molto alto. Quelli la sotto sono molto incazzati.
Wolfet non aveva tutti i torti e per uscire da quell’inferno avremmo dovuto impegnare tutte le nostre risorse fisiche e spirituali.
-Hai ripreso il controllo del HC30 ferito.
-Non del tutto, ma un tentativo si può fare.
-Vedo com’è la situazione.
Mi affacciai con prudenza, lentamente, sopra il parapetto.
Vidi, seppur tra i fumi e macerie, che le forze si stavano riorganizzando.
-Attento! - urlò Wolfet
Feci appena in tempo a piegare la testa che raffiche di scale in do maggiore si conficcarono sul muro dietro alle mie spalle.
-C’è quel pianista che spara all’impazzata.
Wolfet armeggiò sul telecomando prima di premere il tasto rosso.
Dopo qualche istante un gemito mise fine alle raffiche
Guardai su, al centro della semisfera di cristallo, era comparsa come una pallida pupilla la luna.
-Signore che facciamo?
-Ce ne andiamo fuori di qui. Non abbiamo altro da fare ormai.
Dopo una decina di minuti uscimmo all’aperto.
L’aria fresca della sera ci ritemprò i polmoni.
Ci sedemmo al tavolino di un caffè. Ordinammo due birre.
-Signore, che le ha detto quel fumato? La cosa m’incuriosisce un po’.
Mandai giù un sorso di birra, posai il bicchiere e dissi.
-Di uccidere la regina, sua moglie.
Mi guardò di sott’occhi con un’espressione dubbiosa.
-Non mi credi?
-Signore, spero non si offenda se le dico che non me ne frega niente. - disse prendendo il boccale di birra. 







     
        QuiQui , Qui, e Qui  le indicazioni utili


 
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giovedì 24 febbraio 2011

Attenti al Lhupo ( tre )

 



Sgrassatori di blog     - III puntata -

                                                                              racconto in 4 puntate di Lhupo


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-Basta che ti sbrighi...tra l'altro dovrei andare anche in bagno. - bofonchiò tra sé.  Tirai la tenda. La prima cosa che vidi, in quella tenue luce arancione, fu un uomo. Indossava una kandura di colore bianco ed era disteso su dei soffici cuscini che assorbivano quasi per intero il suo esile corpo. Mi avvicinai. Lui non si mosse, sembrava dormisse. Aveva un viso pallido incorniciato da una folta barba, un naso aquilino e un ciuffo di capelli gli copriva un occhio.
Dimostrava una quarantina d'anni. Con la mano destra teneva una pipa da oppio che portava alla bocca ad intervalli regolari. Tratteneva a lungo il respiro prima di rilasciare una piccola voluta di fumo che leggera si disperdeva nell'aria.
Vicino a lui c'era un tavolino che gli arrivava alla testa e sul piano c'erano aghi, raschietti e un nettapipe. Una tartaruga, col guscio rivestito d'oro e incastonato di pietre preziose, camminava pericolosamente sul bordo.
Mi feci coraggio e gli diedi un buffetto sulla guancia. Aprì gli occhi lentamente e si guardò intorno, quando mi vide sorrise.
Ricambiai il sorriso.
-Chiedo umilmente scusa per questa invadenza Monsieur Des Esseintes, ma in verità le dico che non sono affatto sorpreso di trovarla in un posto come questo.
Mi fece cenno di accovacciarmi vicino a lui.
-Lei chi è?
-Sono lo sgrassatore di questo sito
-Ah!
Ma ebbi la netta sensazione che non avesse compreso appieno il significato della parola sgrassatore. Portò la pipa alla bocca e fece una lunga tirata.
Mi guardò a lungo con gli occhi arrossati dal sonno, poi mormorò impastando parole e fumo.
-Perchè è qui?
-Devo trovare la regina, sa dov’è?
Annuì, poi con l'indice della mano sinistra mi fece segno di avvicinarmi. Accostai il mio orecchio alla sua bocca.
E quando udii quelle parole restai pietrificato.
-Signore il tempo stringe. - disse Wolfet dandomi un colpetto sulla spalla.
Mi alzai, presi un fazzoletto dalla tasca e mi asciugai il sudore.
-La tartaruga luccicante sta cadendo. - disse indicandomi l'animale che era per un terzo oltre il bordo.
La presi al volo e la rimisi sul tavolino. Des Esseintes non si era accorto di nulla, aveva gli occhi chiusi e un sorriso da togliere il fiato.
-Certo che...
-sst. - dissi portandomi l'indice alla bocca.
Lasciammo la tenda e imboccammo uno stretto corridoio.
-Cosa volevi dirmi poco fa?
-Vicino al letto sembrava molto preoccupato. C'è qualcosa che vuole dirmi?
-Non ora Wolfet, te lo dirò se usciremo indenni da questa missione.
Dopo che ebbi disceso una piccola scala sentii sul viso uno spiffero d’aria gelida seguito da qualcosa che sembrava un respiro cavernoso. Alzai la torcia e vidi una nebbiolina azzurrognola e gelatinosa che scendeva lentamente dal soffitto contorcendosi come un grosso serpente. Aveva un aspetto minaccioso e sinistro. Accelerai il passo.
-E’ incredibile non ho mai visto niente di simile. - disse Wolfet.
Mi girai e vedendolo fermo con la testa all'insù, quasi ipnotizzato da quello spettacolo, gridai.
-Cristo muoviti, non stare lì impalato.
L’imprecazione non sortì alcun effetto. Wolfet fissava affascinato quella strana cosa che scendendo aveva assunto la forma di una grande testa di serpente a sonagli. La lingua biforcuta sibilava e saettava veloce tra due arcuati denti gialli.
Il sortilegio messo in atto dalla regina stava per uccidere Wolfet. Lo raggiunsi, infilai la mano nella sacca e presi la prima cosa che mi capitò sottomano. Era una scatoletta del Manzoni.  Presi il coltello che portavo in un fodero di pelle fissato alla cinta e con un colpo preciso forai il coperchio . 






 ( Continua... )


                                                                  Le parole sottolineate sono links

 

martedì 22 febbraio 2011

Attenti al Lhupo ! ( due )

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Sgrassatori di Blog     -II puntata-

                                                                            Racconto in 4 puntate di Lhupo    
              

-Accendi la torcia così posso vedere dove sei.
Un fascio di luce si materializzò a meno di cinque metri. Lo raggiunsi e lo aiutai a rimettersi in piedi.
-Come ti senti?
-Mi gira un po' la testa, sento un terribile dolore al naso e anche il ginocchio scricchiola senza contare che...
-Basta così pappamolla, vediamo su cos'hai sbattuto. - dissi puntando la luce verso il basso.
C'era un tronco di betulla, macchiato di sangue, messo di traverso e appoggiato con una estremità sul bordo di un tavolino.  
-Dove sono finito? - disse con un respiro affannoso.
-Contro un gazebino mongolo...con quattro pali meravigliosi in un posto che apre i polmoni, il cuore, l'anima, la mente …
-E il cu...
-Non fare il volgare Wolfet e poi parla piano non vorrei che i nostri si materializzasero in una ventosa brughiera e ce le suonassero di santa ragione.
-Signore...faccio fatica a...respirare. - disse a stento con una voce che non aveva quasi più suono.
Guardai l'orologio. Erano passati circa sette minuti dal nostro ingresso in quella stanza d'aria. Il tasso di cultura stava uccidendo il mio amato amico. Dovevo agire in fretta.
-Dobbiamo bonificare il posto nel più breve tempo possibile. - dissi strappandogli la borsa dalle mani.
Con concitazione rovesciai il contenuto sul pavimento e vidi con sollievo ciò che faceva al caso nostro.
-Mettiamo “E' proprio un porco” o “Cock”? - chiesi.
-Metti il...cazzo che vuoi basta che ti...sbrighi, vedo già le...walkirie... 
Era la prima volta che Wolfet mi dava del tu, la situazione era davvero grave. Senza indugiare oltre appesi le fotografie di Mapplethorpe su due foruncoli legnosi del gazebo, poi mi accasciai a terra e chiusi gli occhi. Mi sentivo debole e stanco.
Quando tornai in me mi sembrava che il buio fosse ancora più fitto. Accesi la torcia.
Mi tirai su e respirai quasi a pieni polmoni. La bonifica aveva funzionato. Guardai Wolfet, era ancora disteso a terra e nel suo viso c'era un'espressione beata. Gli diedi un paio di buffetti sulle guance con il risultato che il suo sorriso si allargò fino alle orecchie. Aumentai la forza tanto che si sentirono due schiocchi secchi. Aprì l'occhio destro e dopo qualche istante il sinistro mi scrutava in modo rabbioso.
Respirò profondamente prima di dire.
-La sua entrata in scena signore è sempre fuori tempo.
-Perchè?
-Una bellissima walkiria era sul punto di baciarmi ed è una cosa che non mi capita spesso.
-Beh mi dispiace di aver interrotto il tuo sogno, ma adesso alzati e prendi un po' di fiato.
Wolfet si tirò su, si piegò sulle ginocchia un paio di volte, fece mulinare le braccia e respirò a fondo più volte, poi fece un passo verso di me e guardandomi dritto negli occhi disse.
-Qual è il piano Signore?
-Dobbiamo raggiungere la stanza della regina prima che scenda la notte.
-E ha idea di dove si trovi questa stanza?
-Penso di sì, dovrebbe trovarsi al centro del labirinto, ma non sarà cosa facile arrivarci. Andiamo non abbiamo molto tempo.
Wolfet si mise a tracolla la borsa, poi fece un ossequioso inchino e disse.
-Prego signore, faccia strada.
Mi incamminai deciso verso una porta che era oltre il Gazebo. Entrai in una cameretta di nome Antropometria  con un po' di palpitazione: nell'aria né suoni né movimenti, solo silenzio. Però l'atmosfera non era male e anche Wolfet mi sembrava più in palla dopo che ebbe dato un'occhiata a quelle intriganti letture.
Uscimmo con un sorriso sulle labbra e dopo aver saltato alcuni cumuli d'ossa, con ancora attaccata qualche fibra puzzolente di carne, dove piccoli puntini fosforescenti gialli stavano banchettando allegramente, arrivammo davanti ad una piccola porta sopra la quale c'era una targhetta di ferro arruginita sorretta da due viti d'oro con su scritto “M.K.Čiurlionis“
Entrai con timore. Il nome non era per niente assicurante. Mi fermai sulla soglia stupito. Grandi e piccoli quadri si muovevano sui muri con movimenti lenti e quando si incrociavano sembravano senza peso dando luogo a fantastiche composizioni
Una spinta mi buttò al centro della stanza.
-Scusi signore, ma mi sembra che la cosa stia prendendo una brutta piega, lei si fa prendere troppo la mano da tutte queste manfrine. Le ricordo che non abbiamo molto tempo per attuare il piano finale...ma cos'è questo forte profumo di incenso e oppio. - disse arricciando il naso.
In effetti abbagliato da quel balletto di quadri non avevo avvertito quell' intenso odore.
-Proviene da là. - dissi indicando un letto a baldacchino che era addossato alla parete di fondo. Poi rivolto a Wolfet. - Tu rimani di guardia non vorrei avere brutte sorprese.



  ( Continua... )

 Le parole sottolineate sono links
                                                                        Un extra   Qui                                   


domenica 20 febbraio 2011

Attenti al Lhupo! ( uno )

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Il mio blog sta per compiere un anno... Tempo di bilanci che non farò, visto che c'è chi ( un mio amico, Lhupo ) si è preso la briga di farli per me, narrando l'avventurosa sortita nel mio regno degli...


                               


            Sgrassatori di blog   


                                                    racconto di Lhupo in 4 puntate


                                                                      

                                                     I


-Sei sicuro che questo sia il posto giusto? Qui è talmente buio che non vedo un accidente. - dissi cercando con lo sguardo Wolfet, il mio canuto assistente.
-Penso di sì signore. Comunque per sicurezza consulterò la carta. - Poi cacciò la mano nella tasca della giacca e ne trasse un foglio simile ad una mappa del tesoro. La dispiegò.
Dalla borsa presi una piccola torcia elettrica e illuminai quel pezzo di carta. Sotto il cono di luce comparve un intrico di segni ben ordinati che, nel loro insieme, erano consimili ad una pianta di un labirinto. Una X di colore rosso, situata nel lato nord, segnalava un'entrata.
Feci volteggiare il fascio di luce in alto, in basso e in tondo, ma non vidi nulla.
-Signore... mi sembra di aver visto un riflesso. - esclamò Wolfet indicando un punto sul muro.
Puntai la luce in quella direzione ed effettivamente comparve un piccolo riflesso. Mi avvicinai e capii che quel piccolo riverbero era dovuto ad una maniglia. Non ebbi più dubbi quando sul pannello superiore della porta, proprio al centro, vidi che c'era incisa a fuoco una G.
-Siamo nel posto giusto. Questo è il blog che dobbiamo sgrassare. - dissi con un cinico sorriso.
Passai la borsa a Wolfet e dandogli una pacca sulla spalla dissi:
-Avanti mio fidato amico, a te l'onore di entrare per primo.
Mi guardò storto, ma non disse una parola. Impugnò con titubanza la maniglia e spinse. La porta si aprì. Fece per accendere la torcia, ma bloccai il suo gesto sul nascere.
-Può essere pericoloso, meglio entrare al buio, poi se tutto è tranquillo potremo accenderla. - dissi sottovoce.
Imprecò prima di sparire inghiottito dall'oscurità. Non lo seguii subito perchè, nel caso in cui fosse successo qualcosa, io avrei avuto il tempo di svignarmela. Non sono mai stato un uomo coraggioso.
Attesi circa un minuto, poi entrai. Appena varcata la soglia fui investito da un misto di odori che andavano dal miele al caramello bruciato, dal sudore di ascella al puro marocchino.
Questo micidiale cocktail mi prese le narici costringendomi a respirare con la bocca.
Dalla cinta tolsi una scatolina che assomigliava ad un contatore geiger,  questo altro non era  che un culturscopio. (misuratore del grado di cultura del sito). Lo attivai. Un rumore fastidioso, simile ad un moscone in amore, si librò nell'aria. Con l'accendino, dotato di una minuscola torcia a led, vidi che la lancetta della strumento si era fermata a novantanove virgola cinque su cento. Un tasso di cultura così alto avrebbe ucciso un uomo medio nel giro di dieci minuti. Ero preoccupato per Wolfet visto che lui era un po' al disotto della media.
Fui sul punto di chiamarlo, quando un rumore affine alla caduta di un albero raggiunse le mie orecchie. L'eco di quel suono non si era ancora spenta che un doloroso “Cazzo che botta”, pulito come il culetto di un bambino, graffiò lo spazio
-Che ti è successo, Wolfet? - dissi avanzando nella direzione da cui era provenuta l'invettiva. -Devo essere inciampato su qualcosa signore, ma non so cosa.

( continua...)


giovedì 17 febbraio 2011

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Qui  The ship song di Nick Cave
Il testo della canzone qui
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martedì 15 febbraio 2011

Homo faber

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Afferrò l'ascia e cominciò a sgrossare e a spezzare il marmo  e a murare con la velocità che da bambino desiderava e immaginava osservando i gesti pesanti di suo nonno mentre questi squadrava le pietre e i monumenti funerari in Bosnia. Ora era di nuovo muratore e la sua bocca era piena di sudore salato e di polvere, le sue orecchie erano piene di capelli bagnati e il suo cranio era ardente sotto quei capelli bagnati e la pietra e le tegole si spaccavano sotto la sua mano e sotto la sua saliva, come fosse velenosa, e nello sforzo il suo aspro seme maschile gli bruciava le cosce e bucava i vestiti. A mezzogiorno interrompeva il lavoro, mangiava un pò di fagioli bolliti e si sdraiava in riva al piccolo fiume.  Alle ciocche dei suoi lunghi capelli legava le esche e appoggiava la testa su un sasso vicino al fiume, in modo che i capelli affondassero nell'acqua. Così dormiva e pescava, stanchissimo e affamato, nella speranza che il pesce venisse nel sogno, guastandoglielo. Poi si alzava, costruiva fino a mezzanotte e si sdraiava di nuovo finché non lo sveglava la civetta, un uccello mai visto da nessuno, un uccello che sa quando morirà chi sente il suo canto.



Da  Il lato interno del vento di Milorad Pavić 

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venerdì 11 febbraio 2011

bivio

Ormai era seduto da quarantacinque minuti, con la mano che ospitava la cornetta nera già viscida di sudore. Di quando in quando veniva preso dal panico. Si alzava e percorreva a grandi passi la stanza, con la mente stretta nella morsa della follia e del senso del pericolo insiti in quanto stava per fare, una sensazione così potente da sembrare una cosa che aveva appena concepito, anzichè un sentimento con cui conviveva da anni. (...) Periodicamente si sedeva di nuovo alla scrivania, componeva con calma il numero ( benchè le sue mani tremassero ), poi schiacciava i due pulsanti in cima al telefono con una violenza terribile e li teneva così, per assicurarsi di aver effettivamente interrotto la comunicazione.  (...)
La speranza si era insinuata nella sua vita proprio mentre si stava abituando ad accettare il dolore.  E perchè proprio adesso '? Non voleva la speranza. Non credeva nella speranza. Non pensava  neanche di aver bisogno della speranza. Eppure era nella sua morsa. (...)
Così rimase seduto, col cuore martellante, mentre il telefono gli si acquattava davanti senza vergogna (...)
Sollevò la cornetta.



martedì 8 febbraio 2011

esercizi di verità

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Ecco come si svolge una lezione di composizione.

Siamo seduti al tavolo della cucina con i nostri fogli a quadretti, le matite ed il Grande Quaderno.Siamo soli.
Uno di noi dice:
- Il titolo del tuo tema è: "L'arrivo da nonna".
L'altro dice:
- Il titolo del tuo tema è : " I lavori".

Ci mettiamo a scrivere. Abbiamo due ore per trattare l'argomento e due fogli di carta a disposizione.
Alla fin delle due ore ci scambiamo i fogli; ciascuno corregge gli errori di ortografia dell'altro con l'aiuto del dizionario e, in fondo alla pagina, scrive : Bene o Non Bene. (...) Se è Bene, possiamo ricopiare il tema nel Grande Quaderno.
Per decidere se è un  Bene o Non Bene, abbiamo una regola molto semplice: il tema deve essere vero. Dobbiamo descrivere ciò che vediamo, ciò che sentiamo, ciò che facciamo.
Ad esempio è proibito scrivere: " Nonna somiglia ad una strega "; ma è permesso scrivere: " La gente chiama Nonna strega ".
E'  proibito scrivere:" La piccola città è bella ", perchè la Piccola Città può essere bella per noi e brutta per qualcun altro.
Allo stesso modo se scriviamo:" L'attendente è gentile ", non è una verità, perchè l'attendente può essere capace di cattiverie che noi ignoriamo. Quindi scriveremo semplicemente: " L'attendente ci regala delle coperte ".

Scriveremo :" Noi mangiamo molte noci" e no :" Amiamo le noci", perchè il verbo amare non è un verbo sicuro, manca di precisione ed obiettività. (...)

Le parole che definiscono i sentimenti sono molto vaghe: è meglio evitare il loro impiego ...





domenica 6 febbraio 2011

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qui Dancing in the dark di Bruce Springsteen

martedì 1 febbraio 2011

La signora e il cavaliere di terracotta






Felicità, felicità, volete un po’ di felicità signora?- disse il giovane venditore, guardandola negli occhi.
-Giovinezza, volete un po’ di giovinezza? - disse il mercante sul  lato opposto della via.
Al centro della strada, intanto,  avanzava un uomo zoppo che spingeva un malmesso carrettino, all’apparenza vuoto. L’ometto le si avvicinò e con voce dolce disse:
-Tranquillità! Comprate un po’ di tranquillità, signora, è di buona qualità  e vi garantisco che non avrete più problemi.
Lo pagò con un sorriso. Poi s’incamminò verso casa.
"Felicità, giovinezza… Parole pesanti come  piume di un colibrì, sostanziose come un soffio di vento!                                                                                                                     Incantevoli menzogne, la vostra dimora è la notte; lievi, v’insinuate nei sogni ed approfittate della pesantezza delle palpebre per ingannare l'anima.

 Non si era accorta di parlare a voce alta finché una voce rude si sovrappose alla sua.

-Il problema è di avere palpebre e anima e di questi tempi, mia cara signora, sono cose rare da trovare. – la interruppe Kostunov, il venditore di cavalieri.
Poi alzò le spalle e si mise a pulire con un piccolo pennello alcune statuine colorate.

La signora, incuriosita, si avvicinò al banchetto, rimirò per alcuni istanti i cavalieri in terracotta, poi si avvicinò a Kostunov.
 -Sono davvero belli, ditemi il loro prezzo.- disse, prendendo il portamonete dal borsino.
Kostunov, continuando a pulire, borbottò:
-Questi cavalieri sono magici e non hanno prezzo mia cara signora.
-Su non fate il difficile, quanto alla magia… Il tempo delle favole è ormai trascorso!- rispose sorridendo.
Kostunov si rabbuiò in viso, poi guardandola dritto negli occhi disse sottovoce:
- Voi non mi credete eh! Beh, mi sento generoso e ve ne regalerò uno, in cambio, però, di una cosa.
- Di cosa?
- Della vostra anima.
- Ah se è solo per questo considerate già concluso l'affare. Della mia anima non m’importa affatto. – rispose, riponendo il portamonete nel borsino. - Poi continuò. - Ma ditemi, cosa hanno di speciale questi cavalieri?
Kostunov si avvicinò all'orecchio della signora e le sussurrò
- Dovete baciare sulle labbra il cavaliere, poi dovete pronunciare le parole magiche EROMA-OIM e il cavaliere diventerà di carne e ossa. Sarà al suo servizio fin quando lei, cara signora, lo vorrà.
- Mi sembra uno scambio accettabile- accondiscese un po’ turbata.
- Cosa scegliete, il cavaliere nero, rosso o quello azzurro? - disse Kostunov fregandosi le mani.
La signora si avvicinò al banchetto, guardò con attenzione le statuine poi disse:
- Prenderò quello azzurro.
Kostunov lo prese e prima di darglielo disse:
- Si ricordi le parole magiche.
- Stia sicuro, le ho ben impresse in mente. - rispose, prendendo la statuina.

La sera stava calando e anche gli ultimi  venditori se ne stavano andando. Si attardava quello che vendeva collera: stava gridando ad un cliente che non sembrava molto convinto della qualità della sua merce. La signora prese la via di casa, ma non resistette a lungo. Dopo qualche passo, si fermò nell'androne di una vecchia dimora e si diresse nell’angolo più buio, dove un gatto color carbone ronfava tranquillo; prese la statuina, se la portò alle labbra e la baciò, poi pronunciò piano le parole magiche: EROMA-OIM.

Non successe nulla. Riprovò con un bacio più appassionato e scandì con più decisione le parole. Ed ecco che, per incanto, la statuina scivolò dalle sue mani e si librò in volo avvolta da una luce fortissima. La signora chiuse gli occhi, accecata dal bagliore intenso e quando li riaprì rimase senza fiato. Davanti a lei c'era, immobile, un cavallo bianco dal portamento fiero. Poi alzò lo sguardo lentamente e vide un cavaliere completamente avvolto in un mantello azzurro come il cielo.


- Sei della sostanza dei sogni o...hai la consistenza delle cose?- chiese in un sussurro la signora.  
- Ho la consistenza dei sogni e la sostanza della carne. - rispose con un sorriso.
-Qual è il tuo nome?
-Joshua è il mio nome.
Detto questo, si avvicinò e, con fare lieve, la cinse al fianco, la sollevò leggera come un'ombra e la issò davanti a lui, poi con un movimento rapido tese leggermente le redini e il cavallo bianco si librò in volo. Un bambino alla finestra si stropicciò gli occhi nel vedere quella strana macchia scura che tagliava in due una pallida luna. La signora, insolito a dirsi, non avvertiva alcun timore anzi si sentiva sicura a tal punto che con la mano scostò un lembo del mantello.   Quel che vide furono due occhi color del mare, un mare invernale, con onde spumeggianti che solo il maestrale sa dare. Senza dire nulla il cavaliere lasciò le redini, liberò i capelli neri al vento, la prese tra le braccia e la  baciò. 

Cavalcarono tra le stelle tutta la notte e solo al primo albeggiare, dopo aver squarciato una nube bianca, la signora vide in lontananza una valle verde circondata da alte montagne.  
Quando dopo pochi istanti Lobo, questo era il nome del cavallo, scese veloce, la signora scorse, incuneati tra le rocce, i bastioni di una fortezza.
Lobo si posò in una piccola radura. L’aria era calma ma gelida e una luce chiarissima dava agli alberi delle forme bizzarre. Si incamminarono per uno stretto sentiero. Lobo, dietro di loro, rompeva il silenzio con il rumore sordo e cadenzato degli zoccoli.
La fortezza, passo dopo passo, appariva sempre più grande; cento e più feritoie abitavano la grigia facciata di pietra. Occhi maligni o custodi vigili, chissà!
Arrivati sotto la gran porta di legno della fortezza, Joshua le sussurrò:                                                                                   
- Qui può entrare solo chi ha un nome. Qual è il tuo?
-Io non ho nome. Offrimene uno e, qualunque esso sia, sarà da me indossato con amore. - rispose la signora.
-Gea sarà il tuo nome.
A quel suono Lobo nitrì forte con il muso al cielo e anche i bastioni per un attimo tremarono.
Joshua la sollevò come un fuscello e ne proferì il nome ad alta voce; la grande porta, come per incanto, si aprì.

Gea posò la testa sul petto del cavaliere, chiuse gli occhi e ascoltò il battito del suo cuore che, come una ninna nanna, la cullava. Dopo alcuni istanti, che le parvero infiniti, il mantello di Joshua si sollevò, leggero come un sipario. Lei aprì gli occhi.
Una luce, azzurra e sottile, che colava dall’alto, le inondò il volto. Guardò su. Stelle d’oro, incastonate nel soffitto, spruzzavano lame di luce, mentre minute scintille, silenziose, si rincorrevano, sfiorando ogni cosa.
I suoi occhi stupiti interrogarono quelli di Joshua.

-Seguimi. - le disse e, dopo averla teneramente sciolta dal suo abbraccio, le prese la mano.

Stanza dopo stanza, la luce filtrava sempre più rada, tanto che le cose, perdendo forma e colore, assomigliavano ad ombre.
Finalmente Joshua   si arrestò davanti ad una porta, sormontata da un’architrave tondeggiante dalle venature bluastre, che pareva palpitare,
Davanti ad essa c’era, acquattato, un gatto nero: quando vide Joshua, miagolò una nota acuta e rizzò il pelo prima di fuggir via.
-Non allarmarti, è Nembo, il gatto dalle mille vite. E’un buon guardiano, è lui che vigila sulla fortezza. - poi aprì la porta.

Agli occhi di Gea apparve una stanza rotonda, senza finestre e con le pareti damascate di rosso. Al centro un grande tavolo di legno, con due sedie a capotavola, ricoperto da una tovaglia di fine lino bianco. Al centro c’era un candelabro d’argento con candele accese che irradiavano una tenue luce gialla. Bicchieri di cristallo brillavano impenitenti. Una fumante zuppiera di porcellana sembrava una regina e vicino, a farle da damigelle, due tazze bianche come la neve. La signora cercò con lo sguardo il cavaliere; lo vide intento a riempire una tazza. Lo fissò per alcuni minuti, come incantata. Fu presa dalla sensazione di trovarsi dinanzi all’amore tante volte immaginato di notte, ad occhi chiusi. Così non fu sorpresa che tutto in quella stanza  sembrasse familiare, quasi avesse scelto lei  stessa ogni oggetto prezioso e avesse allestito quel magico banchetto di propria volontà. Le pareva, anzi, che il meraviglioso tepore che avvolgeva ogni cosa provenisse dal suo stesso corpo. 
- Siediti, amore mio. - disse Joshua, porgendole il liquido denso e fumante.
Mentre una musica d’archi e un profumo misterioso conquistavano l’aria, Gea prese la tazza.                                                                                                                        

- Ho già visto tutto questo in sogno – sussurrò, mentre le sue guance si tingevano di rosso e il cuore pulsava forte, tanto da toglierle il respiro.




Anche quella sera, Kostunov  svuotò il suo banco di lavoro. Sistemò creta, spatole e colori sul fondo terroso di una grossa sporta di tela. Sopra, delicatamente, adagiò le statuine di terracotta, poi si avviò verso la sua vecchia casa. Quando arrivò nell'androne, un miagolio lo accolse.
- Oh Nembo, mio buon amico, hai fatto buona caccia. - disse, fregandosi le mani. -  Ecco un’altra anima perduta in un sogno.
Con grazia, raccolse tra le zampe del gatto la statuina di un cavaliere azzurro e quella di una signora dallo sguardo innamorato.
Le ripose una accanto all’altra nella borsa, poi, fischiettando un’ aria d’opera, si sporse verso la strada già silenziosa e, chiudendo il portone, alzò lo sguardo verso le prime stelle della notte.













scritto a 4 mani e due neuroni via etere da  Lhupo e  Virgo