mercoledì 30 giugno 2010

Jack London





Jack London nasce a San Francisco nel 1876. Qualche anno dopo, la famiglia si trasferisce a Oakland. 
Jack abbandona la scuola e inizia prestissimo a lavorare. Stimolato dalla bibliotecaria della città, comincia a leggere con passione e, nel 1891, riesce concludere gli studi di primo grado. Si fa prestare  300 dollari dalla sua vecchia balia di colore e  acquista una barca a vela, con la quale inizia un’attività di allevamento di ostriche.

Nel  1893 si imbarca per una battuta di otto mesi di caccia alla foca al largo del Giappone. Per il suo primo racconto si ispira a questa esperienza. Al ritorno trova lavoro ma lo perde ben presto per la disastrosa crisi economica di quegli anni. Girovaga attraverso  gli Stati Uniti e il Canada e dopo qualche tempo viene arrestato  per vagabondaggio. Resterà un mese presso un penitenziario dello Stato di New York.            
Di ritorno a Oakland, lavora ed insieme riprende gli studi. Inizia a militare nelle file dei socialisti ed entra all’ università  di Berkeley che presto abbandona per  partecipare alla corsa verso l’oro del  Klondike. Nel  1898, ammalato di scorbuto, lascia  Dawson City e torna a Oakland senza avere fatto fortuna.Nel grande Nord canadese trova però la fonte di ispirazione per i suoi scritti. Nascono così molte delle sue short stories per le grandi riviste.                                                                        
Nell’ aprile del 1900, si sposa con Elizabeth e  parte in luna di miele in bicicletta a Santa Cruz. Nello stesso anno pubblica il suo primo romanzo, Il figlio del lupo. La ragazza delle nevi esce nel 1902.                                                                            
Un  giornale californiano lo manda come corrispondente in Africa per seguire la rivolta dei Boeri. Sulla strada verso le zone australi, si ferma a Londra. Nella capitale inglese, passa tre mesi e mezzo fra gli operai e i senza casa. Da quest’immersione nei bassifondi trae materiale per Il popolo dell’abisso, un pamphlet che denuncia i limiti del capitalismo. 
Pubblica Il richiamo della foresta e raggiunge la celebrità. Il romanzo è seguito da Nient’ altro che l’amore, un  dialogo epistolare scritto a due mani con la socialista militante Anna Strunsky.                                                                               Jack si separa dalla moglie per  unirsi a Charmian Kittrege. 
Nel 1904, è ancora corrispondenta di guerra in Corea. Viene espulso dai giapponesi. Le sue cronache sono raccolte nel volume  La Corea in fiamme.                                   Continua la sua militanza politica con  conferenze che procurano scandalo.

Si risposa a Chicago con Charmian Kittredge e parte in luna di miele in Giamaica. Pubblica Zanna bianca.                                                                                      Si fa costruire una barca, Snark, e nell’aprile 1907 si imbarca per Honolulu, quindi  per le isole Marchese e Tahiti.

                                                                                 

Nel 1908 deve fermarsi a Sydney per un attacco di malaria. Pubblica un' utopia negativa, Il tallone di ferro. E’ un’opera di denuncia del  capitalismo.                                                              
 

Rientra a Oakland il 21 luglio, molto debilitato. Nel 1909,  esce Martin Eden. Si occupa  della sua azienda agricola nei pressi della città californiana. Riprende nel 1911 a viaggiare per mare.
Nel 1913, esce John Barleycorn, la sua autobiografia incentrata sulle sue vicende di alcolista.  Il libro diventerà un importante riferimento per gli abolizionisti. Nello stesso anno il suo ranch viene distrutto da un incendio. Si imbarca l’anno successivo per Vera Cruz per seguire la rivoluzione messicana. Alle Hawaii con sua moglie nel 1915, scopre il surf . 
                                                                                                           Colpito  da uremia, Jack London muore, nell'autunno del 1916, dopo aver ingerito  una forte quantità di medicine.

sabato 26 giugno 2010

" Bevete cacao Van Hauten " di Ornela Vorpsi



E’ nata nel ’68, è albanese, scrive in italiano. Si chiama Ornela Vorpsi.

Bevete cacao Van Houten è una raccolta di 13 racconti  più un epilogo che congeda il lettore con un’ immagine insolita, un  paio di scarpe gialle.

Ma le scarpe che vidi quel giovedì nella metro di  Milano non rientravano in nessuna delle categorie che avevo costruito senza volerlo. Le scarpe gialle non appartenevano né alla classe operaia, né alla borghesia, né tantomeno all’intellighenzia. ( … )
L’insensibilità di queste scarpe, ecco cosa mi gettò in un terrore senza nome.                                    
Non conoscevo il loro linguaggio.


Scarpe, comuni oggetti d’uso che, allo stesso modo di altri  frammenti di realtà che si avvicendano nei racconti, diventano oggetto dell’incredulità di uomini e donne feriti dagli incerti del caso, dall’indecifrabilità del tempo o dalla violenza distruttiva della solitudine e del distacco.





Nella stanza di Moma, non potevamo non renderci conto delle sviste grossolane combinate da questa vita : le nostre mamme conducevano esistenze che non meritavano, nei loro letti giacevano gli uomini sbagliati, e a noi piacevano ragazzi che non ci ricambiavano. Così andava il mondo, a passi falsi. La stanzetta di Moma ne sapeva qualcosa: era come se dentro quelle quattro mura gli errori prendessero una forma materiale, concreta, li potevi toccare con le mani come una sedia o un tavolo.
                                                    ( dal I racconto )







…non provavo niente, intendo dire dolore o non so - ho mimato quello che si fa o si dovrebbe fare quando succede qualcosa di tremendo. (… ) da quel momento è come se mi fossi seduto di fianco alla vita 
( dal IV racconto )






Quando mi sveglio, di solito alle due o alle tre proprio nell’offuscamento della notte di cui non vedo la fine, quando mi sveglio, dunque, ho l’abitudine o l’automatismo di scostare la tenda per cercare luce di gente che non dorme.

( dal IX racconto )




venerdì 25 giugno 2010

mercoledì 23 giugno 2010

Ellis Island


Voltava i suoi quaranta piani il Metropolitan Building con il suo traforo di finestre.  Sfilava e si allontanava il nuovo edificio della centrale telefonica coi suoi cubi affastellati; d’improvviso si vide tutto il nido di grattacieli ( … ) gli edifici si fusero formando una roccia scoscesa e smerlata ( … ). 
Sollevò pugno e fiaccola la donna- libertà americana che col suo deretano cela la prigione dell’Isola delle lacrime”.


Da " La mia scoperta dell'America " Passigli editore




Queste sono le immagini che Majakovkij vede allontanarsi, osservando Manhattan dalla  nave che lo riporta in Europa, dopo il suo soggiorno di tre mesi a New York nel 1925. 






L’”Isola delle lacrime” di cui parla il poeta è Ellis Island. Su questa isoletta, non distante da quella in cui svetta la statua della libertà, veniva effettuato il controllo degli emigranti che volevano entrare negli Stati Uniti d’America. 




Attraverso i cancelli dell’edificio che serviva da centro di accoglienza e smistamento per gli immigrati, oggi adibito a museo, sono passati, dal 1892 al 1954, quasi 17 milioni di persone.




 http://www.ellisisland.org/








E' possibile, collegandosi al sito del museo di Ellis Island, reperire informazioni su parenti o conoscenti che nel corso dello scorso secolo sono emigrati negli USA.






lunedì 21 giugno 2010

solstizio d'estate













* Le porte solstiziali nei versi di Omero:

 

Due sono le porte, 

l’una che scende verso Borea è per gli uomini, 

l’altra verso Noto ha (un carattere) più divino; 

per di là non entrano gli uomini, ch' è la via degli immortali.



oggi è un momento particolarmente magico perchè il sole cambia direzione: è il solstizio d'estate

pina 



* Pubblico quanto Pina  scrive in un commento al mio precedente post

 

venerdì 18 giugno 2010

Josè Saramago



Perchè siamo diventati ciechi, Non lo so, forse un giorno si arriverà a conoscerne la ragione, Vuoi che ti dica cosa penso, Parla, Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo non vedono.

Josè Saramago, Cecità


http://www.scrittoriperunanno.rai.it/video.asp?currentId=535



Mi ha fatto amare ciò che scriveva. Mi ha fatto sentire una sua compagna di viaggio. Mi lascia tutto il suo mondo a portata di mano, o, meglio, di occhi.


giovedì 17 giugno 2010

Molecule man





Molecule man è una scultura di Jonathan Borofsky del 1997. Tre figure in metallo forato sono sospese sull’acqua del fiume Sprea.
Si ergono vicino all’ Oberbaumbrucke; il ponte, una volta, era uno dei punti di passaggio tra Berlino Est e Berlino Ovest. Oltre il ponte, un residuo tratto del muro di Berlino , lungo la Muhlenstrasse.
Ho raggiunto questo punto periferico della città verso sera.

Metrò : Schlesisches Tor






martedì 15 giugno 2010

"Il Principe della nebbia" di Carlos Ruiz Zafon














Gli elementi in gioco




 L’orologio

L’orologio non era rotto; funzionava perfettamente, con un solo particolare: andava al contrario

La casa

Oltre il cortile, delimitato dal muro di cinta che circondava la casa, si estendeva un campo di erbacce e, a una distanza di circa cento metri, si elevava un piccolo recinto circondato da un muro di pietra biancastra. ( … ) Un giardino di statue.

Il paese

Il ragazzo, dalla pelle molto abbronzata dal sole e con gli occhi verdi e penetranti gli tese la mano.
- Roland. Benvenuto nella "città della noia".

Il cimitero

Il cimitero era un classico recinto rettangolare che si ergeva alla fine di un lungo sentiero in salita, fiancheggiato da alti cipressi. Niente di originale.



 Il guardiano del faro

Con il passare del tempo, la segreta angoscia di quell’attesa interminabile gli aveva fatto pensare che forse quella storia era stata tutta un’illusione ( ... ) Ma ancora una volta i sogni erano tornati.


La massima

Il tempo, caro Max, non esiste; è un’illusione.


I suoni

Lentamente, avvolto dal suono ipnotico della pioggia, si abbandonò al sonno.

I colori

La burrasca si rovesciò sul paese con una furia sinistra e violenta. In pochi momenti il cielo si trasformò in una volta di piombo e il mare assunse un colore metallico ed opaco, come un’immensa zattera di mercurio.


Il gatto

Il felino, con la testa appoggiata sulla spalla della bimba, mantenne gli occhi fissi su Max, che pensò :“ Ci stava aspettando ”.

L’amore

A Max non sfuggì il gioco di occhiate che in un una frazione di secondo si erano scambiati il suo amico e Alicia.

La presenza



L’immagine mostrò la sagoma in controluce del pagliaccio sorridente, sul quale convergevano tutte le altre statue.










 L'ho appena letto. 

Una perplessità  : negli anni Quaranta, nei forni di paese si potevano trovare i cornetti con la crema ?!


Le parti in corsivo sono tratte da " Il principe della nebbia " di Carlos Ruiz Zafon  ed. SEI


sabato 12 giugno 2010

Maks Volosin nelle parole di Marina Cvetaeva



Se si potesse rappresentare plasticamente ciascun uomo, Maks sarebbe una sfera.

Veniva sempre voglia di toccarlo, di  accarezzarlo




Quando si incontrano per la prima volta, Marina Cvetaeva, poetessa in erba,  ha diciassette anni e Maks Volosin , scrittore già affermato, 32. Lui ha voluto conoscerla, così è andato a trovarla nella casa di vicolo Trechprudnyj, a Mosca.
Passano, senza accorgersene, più di cinque ore insieme.





Lui le dice : Quando amate una persona, volete sempre che vada via per poterla sognare         
                                                                                                                                  In un altro contesto, in un tempo successivo, di lei dirà : La Cvetaeva non pensa, vive nei versi.



Del Volosin di quell’incontro iniziale, la Cvetaeva  ricorda   la sua resa completa ad un’altra persona, l’attenzione, la penetrazione, la capacità di non distogliere gli occhi dal volto e dall’anima di chi aveva di fronte e … occhi chiari, quasi da parere bianchi, acuti quasi da far male , come due scintille di fosforo vivo di mare, due gocce d’acqua viva .

I momenti descritti sono i primi di un contatto che, col tempo, sarà sempre più assiduo e di una amicizia autentica.
Lo scenario degli incontri sarà Koktebel, in Crimea, dove, dopo il ’17, Volosin si ritira.
La dimora del poeta diverrà una specie di rifugio per molti intellettuali.





La Cvetaeva sottolinea a più riprese l’ospitalità e la generosità di Volosin:  Dava tanto quanto gli altri prendono. Con avidità. Dava nello stesso modo in cui restituiva. Persino la sua casa di Koktebel, ( … ) così sudata, così meritata, così intimamente sua, come se fosse nata con lui, più simile a lui del suo calco in gesso, non la sentiva sua, fisicamente sua . ( … )  non poteva dar in affitto le stanze agli amici. Ancor meno, agli estranei. “


E poi


 In lui non ci fu mai il guerriero  ; alla anziana ma energica madre che gli faceva osservare che  un uomo con la “U” maiuscola , se c’è la guerra, combatte, lui rispondeva “ Mamma, non posso infilarmi un giubba e sparare alle persone vive solo perché pensano che la pensano diversamente da me.”
“ Pensano, pensano. Ci sono momenti, Maks, in cui non bisogna pensare, ma agire “ obiettava la madre. E Maks , di rimando, “ Momenti come quelli, mamma, ( … ) si chiamano istinti bestiali.”



Non era pochezza d’animo, dice la Cvetaevaperché di ogni cosa racchiusa in lui ce n’era a iosa, oppure non ce n’era affatto; e  non era indifferenza, perché nel momento in cui si trovava nel mezzo, la sua anima si divideva in due anime intere ed integre: era contemporaneamente tu ed il tuo avversario  e  tutto ciò appassionatamente.                                                                                                       Così si può guardare solo dall’alto. 

                                                                                                                                                                  L’inimicizia, come l’amicizia, ha bisogno di consenso ( di reciprocità ). Maks non dava il suo consenso all’inimicizia e, così facendo, disarmava una persona. Penso semplicemente che Maks non credesse al male ( … ). Per lui il male era oscurità, ( … ) un malinteso gigantesco ( … )  una svista di secoli di qualcuno o una nostra in ogni ora, spesso semplicemente stupidità – in cui egli credeva – cecità.






Le parti in corsivo sono tratte da: Marina Cvetaeva, Incontri ed. La Tartaruga

Gli acquerelli sono di Maks Volosin

domenica 6 giugno 2010

Stagni del Patriarca - Mosca -





Nell’ora del tramonto primaverile, insolitamente caldo, apparvero presso gli stagni del Patriarca due persone. Il primo, che indossava un completo grigio estivo, era di bassa statura, scuro di carnagione, ben nutrito, calvo ( … ) .  Il secondo, un giovanotto dalle spalle larghe, coi capelli rossicci arruffati e un berretto a quadri buttato sula nuca, indossava una camicia scozzese, pantaloni bianchi spiegazzati e un paio di mocassini neri . ( … )
Giunti all’ombra dei tigli che cominciavano allora a verdeggiare ( … ) gli scrittori si precipitarono per prima cosa verso un chiosco, dipinto a colori vivaci, che portava la scritta " Birra e bibite ".






  Ma conviene rivelare la prima stranezza di quella spaventosa serata di maggio. Non solo presso il chiosco, ma in tutto il viale, parallelo alla via Malaja Bronnaja, non c'era anima viva. In un'ora in cui mancava la forza di respirare, (... ) nessuno era venuto sotto l'ombra dei tigli, nessuno sedeva sulle panchine, deserto era il viale. 




( ... ) Qui successe una seconda stranezza, che riguardava soltanto Berlioz. A un tratto ( ... ) fu preso da un terrore immotivato, ma così potente che gli venne voglia di correre via senza voltarsi dagli stagni del Patriarca. Si guardò in giro angosciato, non comprendendo che cosa avesse potuto spaventarlo tanto.










( ... ) l'aria torrida gli si infittì davanti, e da essa si formò un diafano personaggio dall'aspetto assai strano. Un berretto da fantino sulla piccola testa, una giacca a quadretti striminzita, anch'essa fatta d'aria....










M. Bulgakov, Il maestro e Margherita

 












                        
                                    
-" .... Dunque tu chi sei ? "
-"Una parte di quella forza che vuole costantemente il Male e opera costantemente il Bene"

           Goethe, Faust






                                                                             

mercoledì 2 giugno 2010