Mundstock e Mon, un uomo e la sua ombra. L’ ombra è la paura, la coscienza della fine. Mundstock , ebreo praghese, l’ha allontanata da sé per non soccombere al terrore della inevitabile e prossima deportazione in un campo di concentramento nazista.
Pagina dopo pagina, nel romanzo, si snoda lentamente una quotidianità grigia con qualche impercettibile dettaglio colorato ad evidenziare i rari e pur necessari momenti di intimità, di speranza, o gli improvvisi stati febbrili del delirio.
I grandi occhi neri del ragazzo guardano la fiammella della prima candela di Channukkah e sono colmi di stupore. La fiammella si riflette e tremola nei suoi magnifici occhi… China la testa sul candelabro (… ) – Qualcosa di rosa qui svolazza, bisbiglia, qualcosa di rosa qui muove le ali - .
Lo guardavano fisso, quattro paia d’occhi, e lui sentì che cominciava a dominarli. Come se ad un tratto fosse ritornato agli anni più felici del tempo passato, quando lì accanto, in cucina, la signora Sternova friggeva le cotolette e Simon le si metteva tra i piedi con il quadernetto dei francobolli. (… ). Aveva la sensazione che qualcosa di verde gli germogliasse dentro, come se lui, il precedente signor Theodor Mundstock , stesse risorgendo dal regno dei morti.
Il buio intorno a lui si faceva sempre più rosso e nel contempo iniziava a rarefarsi. (…) Un’alluvione inondò la sua coscienza e sommerse tutto ciò che aveva relazione con il reale.
Un venerdi del 1942 qualcosa cambia. Mundstock adotta un nuovo metodo per allontanare il terrore. Capisce che la soluzione sta nel prevedere minuziosamente ciò che potrà succedergli e giocare d’anticipo, preparandosi con rigore e metodo ad affrontare la deportazione. Nell’applicazione del nuovo “sistema” ,Mundstock proverà un piacere profondo. Paradossalmente, la gioia gli deriverà dall’ adattamento ad una situazione subita, imposta.
Ma come organizzare quell’allenamento? Il signor Mundstock comincia a capire che sarà più difficile rispetto agli esercizi di sollevamento della valigia (… ) .Il signor Mundstock si rivolta sul pancaccio, e fissa il buio. Spiega, parla, riflette e comincia a perdere il controllo. Non gli viene in mente niente, nessun metodo, nessun sistema pratico, niente di niente. E già per la stanchezza gli si chiudono gli occhi e si sta addormentando quando un’idea finalmente arriva. Come ho potuto dimenticare, si dice, e il cuore gli sobbalza. Ma se… Il pancaccio lo indolenzisce, il buio lo circonda, e lui alzando lievemente le sopracciglia sorride, gli sembra di stare sul più bel etto del mondo.
Molte delle soluzioni ai problemi minuti che dovrà risolvere consisteranno nel farsi notare il meno possibile, nello “scomparire”: il romanzo ad un certo punto si trasforma in un vero e proprio prontuario per chi voglia guadagnarsi l' “invisibilità”. Per prepararsi, allenarsi ad affrontare la deportazione, Mundstock inizia a sottoporsi ad una disciplina che lo priverà, ancor prima che ciò che teme accada, delle sue abitudini ed addirittura metterà a repentaglio la sua incolumità nel momento in cui l’uomo giungerà a simulare la propria morte per gas. Tutto ciò per arrivare ad avere la fine temuta alle spalle ed eliminare così il terrore.
La morte gli si è manifestata in tutta la sua semplicità… (…) Che si sfoghino pure, sorride, non mi stupiscono più. Per me è ormai lo stesso, io ho l’epilogo alle mie spalle.
Forte del suo” metodo” ,Mundstock va addirittura sollevato, sorridente, verso il previsto appuntamento con la sorte.
Ma ora va già veloce. Ora già corre. Le guance gli ardono. Se solo fosse già arrivato. Ci deve essere ormai. Al luogo di raduno dei convogli. Alla Fiera…
E finalmente è là.
Ma non ci si può preparare a tutto, il “metodo” non contempla l’imprevisto; così , nelle ultime pagine del romanzo, a campeggiare è di nuovo la paura, che, ancora una volta, prende la forma di un’ombra tremante sul selciato.
Le parti in corsivo sono tratte da Il Signor Theodor Mundstock di Ladislav Fuks ed. Einaudi