domenica 18 settembre 2016

Le sette biciclette di César





Dietro la fermata, sotto lo sguardo preoccupato delle nutrie, due addetti al verde del Comune pescavano con un rampone biciclette dalle acque del Brenta. Le guance accese e il sudore abbondante parevano rendere ancora più spessa l’aria serale dei primi di ottobre. Mentre il bus ritardava, all’uscita dal lavoro, arrivai a contarne sette: numero non piccolo a pensare che il calcolo era ristretto a una sola fermata.
Dalle alghe abbondanti, dal fango e dai depositi era evidente come fossero lì sotto da anni.
Il piccolo pick-up stava a lato: avessi avuto il tempo avrei visto i due uomini caricarvi quegli ormai pesantissimi oggetti, ammonticchiarli fino a formare un intrico di ruote, freni e incrostazioni degno di una Compressione di César. Non pensavo alla reazione dei proprietari delle bici, né alle risate di chi quello scherzo avrà compiuto; non mi interessava sapere se erano finite sul fondale in un’unica volta oppure spinte da mani diverse. Quel che mi turbava era proprio César: la scena cui stavo assistendo mi riportava alla mente un corto a lui dedicato secondo il quale i suoi rottami battuti e ricomposti indicano che ogni cosa ha in potenza una seconda possibilità, una seconda vita. Le carcasse sul

Brenta sembravano completare sulla mia pelle quella tesi: era come se mi sbattessero in faccia l’evidenza che io, di vita, non stavo vivendo nemmeno la prima. Mi chiedo se esistono vite che nessuna metafora può significare, vite senza niente da dire a parte le miserie quotidiane che ognuno può appuntarsi al petto, le miserie che costituiscono il default della vita e che quindi, per definizione, non rientrano nei conti. Inutile dire che la vita al centro di quei pensieri fosse la mia; altrettanto inutile sottolineare come a tali dubbi non avessi alcuna risposta plausibile.
Ciò di cui ho invece certezza è che la vista delle bici non mi avrebbe turbato a tal punto se quella stessa mattina non avessi incontrato una persona.


Sebastiano Gatto, Le sette biciclette di César, ed. Amos


Sono le pagine iniziali di un lungo racconto  pubblicato da una interessantissima casa editrice mestrina ( qui ).

Si comincia a leggere e si va avanti guidati da una voce narrante, che è poi quella del protagonista del racconto, a cui ci si sente immediatamente legati; forse per questo il momento della rivelazione colpisce duramente anche chi legge, come si trovasse di fronte alla verità sulla propria condizione.

Un racconto ben scritto ( magari, chissà, forse anche ben letto... se, come sembra suggerire l'autore, i lettori per vizio  nella vita non entrano mai davvero
ma cercano emozioni per interposta persona ... proprio come il protagonista del racconto  )




9 commenti:

  1. Un libro che fa per me... me lo segno.

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  2. fai benissimo :-) (p.s. i libri e la musica no, ma le bici si vedono solo nell'incipit.. :-)

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  3. Ciao giacy.nta! Sono contenta di averti incontrata, anche se brevemente e in un'occasione molto imbarazzante. Mi spiace di non essere riuscita a parlarti di più!

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  4. Ho iniziato a leggere di nutrie e fiumi e bici e mi pareva così familiare, poi ho capito perché :-)

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  5. @Silvia: anche per me è stato bello conoscerti e mi sarebbe piaciuto chiacchierare un po' con te in una situazione diversa da quella che ci è stata data. Diciamo che forse un testo letterario richiede un ambiente diverso da quello del fight reading per essere gustato, capito, fatto nostro ma, si sa, siamo in un tempo che del silenzio, del raccoglimento, del pudore non sa che farsene, purtroppo...
    Bacioni e speriamo di avere un'altra occasione:-)

    @Amanda: sei in zona, lo so:-)

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  6. Ti rispondo qui al tuo commento sugli scritti "unti". Sembra proprio così, che in un certo senso ci sia un ambito ben definito in cui devono rimanere le scrittrici donne: la carnalità, gli umori, il sangue, oppure la maternità, la famiglia. Se esci da quegli ambiti, se parli del mondo che ti circonda senza renderlo carnale, convenzionalmente "femminile", diventi un po' un'aliena.

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  7. Forse perchè concepisco la letteratura come una vera e propria forma di riscatto ( del pensiero, dell'immaginazione ), non sopporto i luoghi comuni, i clichés e tutto ciò che svilisce il libero e autentico sentire e concepire ). Purtroppo oggi si va in una direzione opposta ( e non solo in ambito letterario ). I lettori sono considerati e trattati alla stregua di consumatori e le librerie sono diventate molto simili ai supermercati alimentari: in bella vista i prodotti unti o dolci ( quelli meno sani )..

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  8. Questa pagine sono veramente intriganti, questo abbandono e forse riscatto delle biciclette e in senso metaforico della vita. Leggo qui che sei riuscita ad andare a Pordenone e ne sono contenta. Ancor più perché sei riuscita ad incontrare Silvia. Mi sembra tuttavia di capire che l'evento non è stato all'altezza delle aspettative.

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  9. @Nela: Sì, ho letto con piacere e sorpresa il libro il cui incipit ho pubblicato in questo post. E' di un autore che, come Silvia, è anche un traduttore. Ha pubblicato con la Amos, una casa editrice piccola, indipendente e preziosa,diverse cose, anche come traduttore.

    Il reading ( che niente ha a che fare con il libro su menzionato, lo preciso certamente non per te ma per altri che dovessero leggere questo commento ) mi ha deluso per le ragioni che ho già esposto altrove. Sono rimasta delusa anche e soprattutto dalle scelte del pubblico ( ha vinto, dei tre autori in gioco, proprio quella i cui scritti non solo non mi sono piaciuti ma mi hanno procurato un vero e proprio fastidio ). Resta comunque la gioia di aver potuto,in questa circostanza, conoscere di persona e salutare Silvia :-)

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