domenica 2 agosto 2015

Sono il bambino, sono il vecchio

Sono il bambino che riceve la Prima Comunione a Vilna, e dopo beve cacao offerto da zelanti signore cattoliche.
Sono il vecchio che ricorda quel mattino di giugno: euforia d’esser senza peccato, bianche tovaglie e sole su vasi pieni di peonie.
Qu’as tu fait, qu’as tu fait de ta vie? – chiamano voci nelle varie lingue collezionate errando per due continenti. Che hai fatto della tua vita, che hai fatto?
Pian piano, ponderatamente, ora che è compiuto il destino, m’inoltro tra le vedute del tempo andato,del mio secolo nel quale, e in nessun altro, mi fu detto di nascere, lavorare e lasciare un segno.

Eppure quelle signore cattoliche esistevano, e se tornassi là, identico, ma con altra consapevolezza, per fermarli, mi fisserei sui loro volti evanescenti.
E ancora carri e dorsi di cavalli rischiarati da un lampo o dal bagliore pulsante della lontana artiglieria. Catapecchie col fumo volteggiante sui loro tetti e ampie strade sabbiose nelle pinete.
Terre e città che devono restare senza nome – a chi potrei infatti spiegare perché e quante volte gli hanno cambiato bandiere e insegne?
Riceviamo per tempo la chiamata, ma rimane incompresa, e non subito risulta quanto l’abbiamo seguìta.
La corrente del fiume scorre come un giorno sotto la chiesa di San Giacomo, e sono lì, con la mia stoltezza, che mi dà vergogna, ma quand’anche fossi stato più saggio, lo stesso non sarebbe servito.

Ora lo so che le intenzioni quali che siano hanno bisogno di stoltezza, per compiersi, di traverso e non completamente.
E questo fiume, assieme ai resti d’immondizia e agli inizi d’inquinamento, scorre attraverso la mia gioventù, mettendo in guardia dalla nostalgia per i luoghi ideali sulla terra.

Eppure è lì, sul fiume, che ho provato piena felicità, che è estasi oltre ogni pensiero e apprensione, e che perdura fin qui nel mio corpo.
Così come la felicità sul piccolo fiume della mia infanzia, nel parco dove querce e tigli sarebbero stati abbattuti per volontà di barbarici conquistatori.
Vi benedico fiumi, pronuncio i vostri nomi, come li pronunciava mia madre, con devozione e affetto.
Chi oserà dire: sono stato chiamato, e per questo la Forza mi ha salvato dalle pallottole che fendevano la sabbia accanto a me o disegnavano il muro vicino alla mia testa?
Dall’arresto nel sonno fino alla presa di coscienza che finisce col viaggio in un carro bestiame là da dove non tornano i vivi?
Dal seguire l’ordine di registrarsi, allorché si salvano i disobbedienti?
Sì, ma loro, ma ognuno di loro non pregava forse il proprio Dio, supplicandolo: salvami!?
E il sole sorgeva sui campi di tortura, e fino ad ora coi loro occhi lo vedo che sorge.
Mi avvicino agli ottant’anni, in volo da San Francisco a Francoforte e Roma, passeggero che un tempo viaggiava in calesse per tre giorni da Szetejnie a Vilna.
Il volo è Lufthansa, che hostess gentile, loro qui sono così civili che non sarebbe il caso di ricordare chi erano.
A Capri un’umanità esultante e banchettante m’invita a prender parte alla sagra del perpetuo rinnovamento.
Le spalle denudate delle donne, la mano che muove l’archetto tra vestiti da sera, luminescenze e flash, dischiudono per me un attimo di armonia con la frivolezza della nostra specie.
La fede nel Cielo e nell’Inferno, i labirinti della filosofia, la mortificazione del corpo coi digiuni, non gli servono.
E tuttavia temono il segno che si appressa inesorabilmente: il nodulo al seno, il sangue nell’urina, la pressione troppo alta.
Allora sanno per certo che siamo chiamati tutti, ciascuno e ciascuna medita sull’eccezionalità del destino individuale.
Assieme alla mia epoca me ne vado, pronto alla sentenza che mi conteggerà tra i suoi spettri.
Se io, fanciullo devoto, qualcosa ho fatto, è stato solo inseguendo sotto travestimento la perduta Realtà.
La vera presenza della Divinità nel nostro corpo e sangue, che sono al tempo stesso il pane e il vino.
La chiamata del Singolo, che ingigantisce in onta alla legge terrena dell’annullamento della memoria.

Czesław Miłosz, Capri
traduzione di Luigi Marinelli e Michele Sganga

( fonte )


8 commenti:

  1. com'è prena di poesia ed amarezza questa pagina

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  2. pregna, la g si è persa sulla tastiera

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  3. Si ha l'impressione che ci sia tutto in questo "Capri", quello che si intuisce sulla condizione umana, che si afferra anche solo per un attimo e quello che rimane in sospeso.. per sempre

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  4. Che pagina straordinaria!
    Il fiume è sempre una profonda metafora della vita e starci accanto per qualche tempo fa sempre capire qualcosa di se stessi.
    un saluto
    Daniel

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  5. @Ciao Daniel! Benvenuto!:)

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  6. In fin dei conti è sempre un perdersi e ritrovarsi...

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  7. in fin dei conti, sì, è tutto e il suo contrario:) ( è per questo che mi piace il passo di Milosz:)

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